Iniziata nel 1974, la vicenda di Operazione Roma Eterna può essere considerata la storia di una progettazione, durata tre anni, che si tradusse solo in parte in azione concreta. Questa manifestazione artistica, dal tema
Proposte progettuali e azioni d’intervento e di interpretazione urbana su e in Roma
, doveva esser articolata in due parti distinte e complementari. La prima, dal titolo
Proposte progettuali d’intervento e d’interpretazione urbana
, consisteva in interventi artistici immaginativi sulla Roma monumentale e turistica, puramente inventivi, volutamente irrealizzati per preservarne la libertà e la carica fantastica o ironica. La seconda parte,
Azioni di intervento e interpretazione urbana nel Quartiere Testaccio
, corrispondeva, invece, a un momento di rapporto concreto con la città. Era qui chiesto agli artisti di allargare la propria pratica individuale per confrontarsi e dialogare con la realtà urbana di Roma, attivando delle azioni di “co-operazione” capaci di scardinare il rapporto unilaterale “artista-spettatore” (o ‘operatore-fruitore’ nel lessico di allora) e tentare di renderlo paritario.
Lo scopo della manifestazione non era abbellire o decorare la città, quanto agire insieme ai suoi abitanti per avviare dei processi d’indagine ‘conoscitiva’ (di esplorazione e conoscenza dei luoghi e dei loro residenti) e ‘emancipativi’ (capaci di attivare, da questa conoscenza, delle proposte autonome di azione). Per questo fu scelto il quartiere Testaccio, una zona periferica del centro storico, compresa tra il Tevere e l’ex area industriale di Ostiense, con una forte connotazione popolare e un vivace attivismo “di base”. Era tuttavia prevista anche la possibilità di estendere gli interventi in zone contigue, o con problematiche analoghe. L’intera manifestazione doveva chiudersi nel 1977 con una grande mostra presso il Palazzo delle Esposizioni, che non fu mai realizzata. I documenti di alcune delle azioni progettate, o in parte avverate, furono esposti dal critico romano Enrico Crispolti alla Biennale di Venezia nel 1976, all’interno della mostra
Ambiente come sociale
, coordinata da Raffaele De Grada e Crispolti stesso, che costituì la partecipazione italiana alla rassegna veneziana di quell’anno.
Per capire cosa si proponessero i progetti inclusi in
Operazione Roma Eterna
e in che modo volessero esplicitare questo desiderio di rifondare “dal basso” un vivere comunitario diverso dal mero atto di residenza, prendiamo qui ad esempio tre degli interventi presentati:
Rapporti all’Ostiense
, che diede avvio all’intera Operazione nella primavera del 1975; il Progetto per un libro figurato del gruppo Cartari 2, esposto in
Biennale nel 1976; infine, la proposta del salernitano Giuseppe Rescigno, presentata ma solo in parte attuata.
Alternative “co-operative”:
non le élite, le comunità urbane
Rapporti all’Ostiense
fu ideato e realizzato da Gianfrancesco Artibani, Sandro Baliani e Agostino Milanese della Cooperativa L'Alzaia, con Maurizio Bedini, Egidi Cosimato e Piero Girotti, in collaborazione con Crispolti e il Consiglio della XI Circoscrizione. Per comprendere l’articolazione di questo progetto dobbiamo guardare alla presentazione della prima parte dei lavori, avvenuta nel dicembre 1975 presso la
Galleria L'Alzaia. Fu qui documentato, attraverso materiale fotografico e un film in superotto, l’intervento ‘pittorico-fantastico’ avvenuto in primavera tra le rovine degli edifici abbandonati e chiusi al pubblico dell’ex Vetreria San Paolo e dell’ex Oleificio Olea Romana. Un’azione volta all’esplorazione di un’area dismessa e strappata alla vita del quartiere, che costituiva il primo tassello nella costruzione del rapporto del gruppo con i suoi abitanti. Furono inoltre esposti reperti di ‘archeologia industriale’, rinvenuti nelle zone documentate dalla pellicola, testimonianza materiale della vita nelle fabbriche. Oggetti mostrati senza alcuna manipolazione o mediazione, e affiancati da registrazioni audio realizzate presso il Comitato di Quartiere, il Centro Sociale San Paolo, il Circolo di Cultura Proletaria, le locali sezioni dei partiti e la Comunità San Paolo, allo scopo di ricostruire con testimonianze dirette ciò che le fabbriche avevano significato per il quartiere e la sua vita quotidiana. L’intenzione era dunque stimolare negli abitanti un momento ‘auto-conoscitivo’, di riappropriazione della propria storia. A questa prima fase ‘esplorativa’ di luoghi e memorie, seguì l’organizzazione di laboratori di ‘animazione’ che coinvolsero i ragazzi del quartiere per ripensare, con un approccio didattico dialogico e ‘del fare’, il loro rapporto con l’ambiente che li circondava. Fu così realizzato, per esempio, un murale con gli studenti della scuola media ‘Pablo Picasso’, il cui tema scaturì dalle esigenze espresse durante i laboratori.